A scuola in presenza.

La ricorrenza del 30 novembre, festa della Toscana, ci ha sollecitato a immaginare che ancora una volta Firenze e la Toscana potessero essere di esempio in una battaglia di civiltà. E’ questo il motivo per cui abbiamo scelto di far arrivare proprio in questi giorni la nostra richiesta di riaprire la scuola il prima possibile. Il prossimo 3 dicembre è il termine di scadenza dell’ultimo DPCM che ha previsto la chiusura di tutte le scuole superiori di secondo grado, prima dell’avvio della zona rossa. Nei giorni scorsi la stampa ha lasciato filtrare la prospettiva di una possibile riapertura delle scuole dopo l’Epifania, non trascurando di riferire alcuni pareri sul fatto che aprire le scuole per due settimane non avrebbe senso. Sappiamo che ancora il governo non si è espresso sulla data della riapertura, ed è proprio per questo che riteniamo opportuno parlare adesso. Da educatori e insegnanti respingiamo con forza l’argomento proposto, per altro già avanzato a fine maggio, con l’inizio della fase 2. Anche allora si è detto che, poiché in Italia l’anno scolastico termina presto, sarebbe stato inutile riaprire le scuole. Avremmo però potuto avanzare proposte per restituire agli studenti qualcosa di ciò che la pandemia aveva loro sottratto. Perché non una sola volta il discorso pubblico, molto attento al tema dei ristori per le diverse categorie professionali, ha menzionato la necessità di provvedimenti analoghi per gli studenti, che non sono una categoria professionale, ma la promessa di tutte le future professioni. Se paragoniamo la didattica a distanza alla riduzione d’orario di un esercizio commerciale, salta agli occhi che anche alla vita scolastica debba essere restituito ciò che ha perso: la scuola non si è fermata, come un imprenditore non rassegnato, ha messo in campo creatività e risorse tecnologiche e si è arrangiata. Ma ha sofferto e ancora attende che, insieme alla restituzione della sua integrità, le venga offerta una forma di compensazione per ciò che ha perduto. Non abbiamo neppure anticipato l’inizio delle lezioni, pur sapendo che il rischio di una ripresa dei contagi in autunno fosse alto. Tornare in classe anche solo per due settimane prima di Natale ci permetterebbe di recuperare un po’ della perduta normalità, non soltanto nella relazione didattica ma anche nella socialità, che fa della scuola una comunità con caratteristiche uniche. Abbiamo bisogno di essere insieme, studenti - con le loro le famiglie - e docenti, per recuperare la fiducia reciproca che è premessa fondamentale di ogni apprendimento. Ci serve perché è il nostro impegno, oltre che la nostra professione, ricordare a noi stessi, agli studenti e soprattutto a coloro che non ne sono convinti che l’istruzione è un prezioso anticorpo, che deve essere stimolato e moltiplicato nel modo più efficace, come prevede ogni seria terapia. All’incertezza dilagante, generata da incaute affermazioni sulle qualità coadiuvanti di vitamine o pratiche alimentari, abbiamo la possibilità di contrapporre almeno una certezza: istruiti abbiamo maggiori possibilità di sopravvivenza. Lo sappiamo già. Le scuole superiori sono andate in Didattica a distanza per prime, è doveroso che rientrino a scuola appena possibile. A ottobre siamo passati da tutti insieme a scuola, senza mascherine, se seduti al banco o alla cattedra, a tutti a casa, come se non fosse possibile chiedere a un diciassettenne di portate la mascherina per cinque ore o di andare a scuola esclusivamente a piedi o in bici, se residente nel comune. Ai docenti non sono mai state fornite FFP2, benché in una mattinata possano stare seduti in classe con più di cento ragazzi diversi, muovendosi tra diverse sedi scolastiche. L’interdizione dei mezzi pubblici ai minori di trent’anni sarebbe stata senza dubbio una grave limitazione della libertà personale, ma se fosse stata il prezzo della possibilità di continuare a frequentare la scuola, forse, avrebbe potuto essere accolta come un’alternativa all’impotenza. Avremmo dovuto chiedere di più agli studenti, non di meno. Sarebbe stato un modo di restituire ai nostri allievi, non pochi dei quali maggiorenni, la competenza di cittadinanza che è stata loro negata. Alcuni di loro possono già votare, lo hanno fatto per la prima volta nelle elezioni regionali di settembre; li esortiamo a partecipare alla vita pubblica, a informarsi e impegnarsi e poi li lasciamo a casa perché non abbiamo un adeguato servizio pubblico di trasporti e, per fortuna, non hanno più bisogno di genitori che li accudiscano a casa? Anche la recente proposta di riaprire le scuole ai figli dei medici evidenzia come nel discorso pubblico la scuola sia pensata in funzione delle esigenze familiari e non per se stessa, gregaria e non soggetto. Noi che tutti i giorni ci spendiamo per allenarli all’esercizio critico e all’assunzione di nuove responsabilità, ci rifiutiamo di condividere questa scelta. Come possiamo pensare di educarli a un dialogo rispettoso, perché fiducioso, con le istituzioni, se le istituzioni li trattano come soggetti incompetenti? Il governo ha introdotto quest’anno l’insegnamento di educazione civica come disciplina traversale con votazione finale. D’estate, impegnati a cercare, o creare, spazi accessori, smontare e rimontare LIM costate una fortuna, diversificare gli orari di entrata e di uscita, ci siamo adoperati anche per dare all’educazione civica un’adeguata forma curricolare. Adesso però pensiamo che la lezione di civismo più importante che possiamo offrire ai nostri studenti, sia quella di assumerci tutti insieme, come comunità solidale, le responsabilità con la consapevolezza dei rischi. Se in questo paese l’obbligo scolastico coincidesse con la fine dell’istruzione superiore il numero dei ragazzi lasciati a casa sarebbe forse risultato indifendibile, e ancora più manifesta la diseguaglianza delle loro condizioni, tale da rende- re impraticabile la proposta di una didattica digitale. La nostra richiesta di tornare a scuola ha dunque tutti i caratteri di una protesta civile in difesa dei valori costituzionali, quelli che già ci sono e quelli che, speriamo, ci saranno presto. Pensiamo che sia nostro dovere di insegnanti ricordarlo alle istituzioni per continuare a nutrire la fiducia dei nostri studenti nelle istituzioni stesse, in noi e nei valori a cui cerchiamo di educarli. Guya Allodi, Roberta Amati, Elisabetta Bacciottini, Lisa Bartolomei, Cristina Battisti, Elena Benucci, Lucia Benvenuti, Isabella Bettarini, Miriam Biasoli, Michela Bocchietti, Rossella Bruno, Grazia Bua, Daniela Campaioli, Claudia Cantini, Paola Cantini, Daria Colombrita, Alessandra Corsini, Maria Giuseppina Delle Rose, Cristina Dianzani, Cecilia Di Marco, Nada Fantoni, Anna Maria Fasulo, Rosangela Finamore, Laura Fratini, Luca Frediani, Elena Fuliggini, Rosa Gaglioti, Chiara Giubbolini, Saida Grifoni, Stefano Guigli, Camilla Hermanin, Francesco Manfredi, Alessandra Mascalchi, Laura Matini, Lucia Maurenzig, Patrizia Mazzei, Laura Mori, Elisabetta Nuti, Francesco Parigi, Gianna Pelli, Silvia Persiani, Mauro Piras, Licia Pozzoni, Roberto Pupi, Caterina Ragghianti, Loris Romeo, Maria Luisa Rossi, Sabina Sorace, Daniela Stringa, Maria Angela Vitali, Francesco Zabban, Bernardo Ziliotto, Andrea Zurli.

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  • Stefano Di Bernardo ha firmato la petizione un'ora' fa
  • Alessandro Landi ha firmato la petizione 6 giorni fa
  • Silvia Zanieri ha firmato la petizione 7 giorni fa

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A scuola in presenza. 02/12/2020 | petizioni.it

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